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  • Categoria: Back In The Dayz
  • Scritto da Klaus Bundy

L'importanza della parola

Mc_rapper

Uno dei problemi di punta della nuova generazione di artisti rap è legato alla profondità del contenuto. Quando ci capita di ascoltare la novità “più calda del momento”, spesso e volentieri ci troviamo a dover sottoporre le nostre orecchie ad un massacrante abuso di retorica, superficialità e – parliamoci chiaro – desolante vuoto, che nulla aggiunge (ma tanto toglie) al progresso dell’hip-hop.

Il vero dramma è che non siamo più abituati a considerare la musica rap il manifesto della cultura hip-hop. Quasi regolarmente, ormai, la pochezza lirica dell’idolo di turno viene fatta passare in secondo o addirittura in terzo piano, a favore dell’indulgente forza scaturita dalla trascinante musicalità dei suoi pezzi. La capacità di un rapper di scalare le classifiche ed esporsi agli occhi ingenui di ogni tipo di pubblico, oggigiorno, corrisponde ad un quasi automatico rispetto presso coloro che la cultura hip-hop dovrebbero viverla per ciò che è, e non per ciò che viene proiettato sugli schermi da MTV.

Il dibattito relativo alla sacrale importanza della parola nella musica rap affonda le sue origini nel manto stesso della lotta afroamericana per l’emancipazione, quando divenne chiaro che il microfono sarebbe stato il legittimo erede di tutti i più grandi oratori neri del secolo scorso. Nonostante i primissimi esempi di MC fossero sostanzialmente dei giullari al servizio dei DJ, gli anni ’80 videro quella che potremmo considerare “l’epocale transazione”: grazie a Kool Moe Dee (il quale, nel 1981, aggredì e sconfisse a colpi di rime il clownesco Busy Bee), il baricentro dell’attenzione comune cominciò a spostarsi gradatamente sul rapper, il quale finì per posare i panni dell’aizzatore di folle e concentrarsi sulla profondità dei testi, scoprendo nella rima un potenziale dai contorni simil-politici. Molti esperti ritengono che, se quello storico contest fosse stato vinto da Busy Bee (avvenimento comunque improbabile, perché la forza di Bee si basava esclusivamente sul suo carisma), il panorama hip-hop non avrebbe avuto spazio per veri e propri guru del pensiero nero, come Chuck D dei Public Enemy, KRS-One o lo stesso Tupac Shakur. A dire il vero, è abbastanza pretenzioso credere che, senza il contributo di Kool Moe Dee, nessuno avrebbe mai pensato di cavalcare l’onda del sermone musicato, sulla scia di quanto già anticipato una ventina d’anni prima dai Last Poets; tuttavia, non è affatto inverosimile immaginare che, senza gli eventi del 1981, l’evoluzione storica dell’hip-hop avrebbe incontrato un ostacolo che sarebbe stato sì superato, ma con molta più lentezza, ed il corso stesso della consapevolezza civile nera di quegli anni (passata attraverso le storie raccontate da autori come il già citato Chuck D o Ice Cube) non avrebbe potuto contare sul suo strumento di battaglia più efficace di sempre.

E’ proprio per questo motivo che oggi dobbiamo tutti fare lo sforzo di fermarci un attimo a riflettere sul percorso che stiamo seguendo: la sottovalutazione della piaga della non comunicazione significa la morte della cultura hip-hop nel mondo che conta, non più spalleggiata da quella che non può essere considerata semplicemente musica, bensì il vero ed unico portavoce della dottrina. Invece di lasciarci abbagliare dal culto della personalità, idolatrando un personaggio per il suo mero stile e successo sui grandi palcoscenici, spingiamo coloro a cui il bene dell’hip-hop sta davvero a cuore, anche perché non dobbiamo dimenticare che sono proprio i testi più complessi e profondi ad arricchirci per davvero.

Salviamo il lyrical MC.

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).