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  • Categoria: Back In The Dayz
  • Scritto da Klaus Bundy

Il 20° anniversario di All Eyez on Me

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Alcuni giorni fa, il 13 febbraio, è ricorso il ventesimo anniversario dalla pubblicazione di uno dei dischi più noti ed amati nella storia del rap: “All Eyez on Me”.

Sulla linea temporale della breve ed intensa vita del compianto Tupac Shakur, “All Eyez on Me” si colloca su un punto cruciale: dopo aver passato quasi un anno dietro le sbarre per un caso (mai davvero chiarito) di violenza sessuale, Tupac aveva trovato una nuova casa nella soleggiata California, al servizio del temutissimo colosso discografico, ormai defunto, che risponde al nome di Death Row Records. Qui, in un ambiente abbastanza ostile e votato all’eccesso, il rapper si era subito messo al lavoro, nella speranza di confezionare i due album previsti dal contratto il prima possibile e poter, così, “mettersi in proprio”, fondando la Makaveli Records, etichetta che purtroppo non avrebbe mai visto la luce.

Il risultato di quelle concitate sessioni di registrazione, che si svolsero nell’arco di un solo mese, fu un prodotto in cui troviamo tutto ciò che vogliamo sapere sui sentimenti di Shakur in quel particolare periodo della sua vita; una “celebrazione della vita”, come da lui stesso definita, il riflesso di un uomo felice di essere al mondo e sufficientemente motivato a conquistare il mondo.

Fare una recensione di “All Eyez on Me”, oggi come oggi, sarebbe limitativo: tantissimo è stato scritto sull’energia emanata da ogni canzone, ma ciò che ancora non mette tutti d’accordo è la questione legata all’eredità nel complesso panorama discografico hip-hop. Se, infatti, album fondamentali come “Illmatic” o “Paid in Full” sono considerati dei classici senza riserva, c’è chi crede che l’ultimo album rilasciato da Tupac ancora in vita sia inferiore ad alcuni suoi precedenti lavori, di certo non il migliore della sua limitata discografia. “Me Against the World” (1995), ad esempio, è universalmente riconosciuto un capolavoro per la sua spietata onestà lirica e l’oscura profondità delle melodie stesse, concepito in un tempo in cui Shakur lottava contro paranoie, paure e demoni che, in fondo, non lo avrebbero mai davvero abbandonato. I detrattori parlano di “All Eyez on Me” come di un’opera “distratta”, non sufficientemente ricca nei contenuti, votata troppo alla glorificazione del materialismo e troppo poco alla consapevolezza sociale, che nei primi anni di carriera aveva configurato Tupac come un temibile esponente del “political rap”, tanto caro a KRS-One e Chuck D.

L’analisi del disco, in effetti, gira intorno ad un concetto non così raro per la maggior parte dei rapper a cui siamo abituati: mentre l’elemento ribelle continua imperterrito a manifestarsi in quasi ogni canzone, la speranza e l’estasi per la ritrovata felicità traspaiono con forza, generando nell’autore un letale senso di superomismo nietzscheniano al quale nemmeno i fans più accaniti erano probabilmente abituati. Tupac si sente un cane sciolto, bastonato e ferito, ma pur sempre uno dei più “brillanti aborti” che la violenta terra americana abbia mai partorito nel secolo scorso, un geniale pensatore (o criminale, a seconda di quale parte della barricata vogliamo occupare) che ha fatto della propria miserevole esistenza un’etichetta da sfoggiare con orgoglio.

Per questo, lo straordinario successo ottenuto da questo doppio album (erroneamente considerato il primo in assoluto, ma certamente il primo del mercato rap mainstream) può essere giustificato dalla sua capacità di aizzare le folle, farle riflettere, commuovere, mettendo quindi in piedi uno spettacolo completo dal punto di vista delle emozioni e facendo di Tupac un insostituibile tragediografo, vulnerabile e bruciato dal quel famoso “fuoco sacro”, che spinge gli artisti anche ben oltre i propri limiti.

Per il nostro, tuttavia, la morte sarebbe arrivata di lì a poco, e rimarrà in eterno il rammarico per tutto ciò che avrebbe potuto ancora dare a chiunque avrebbe voluto ascoltarlo. “The Don Illuminati: The 7 Day Theory” avrebbe fatto la sua comparsa nei negozi un paio di mesi dopo la sua dipartita terrena, e l’enigmatica oscurità che domina l’LP sarà sicuramente un elemento di discussione in una delle prossime puntate di questa rubrica.

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).