facebook  twitter  vimeo  YouTube  

Menu

Ghemon e Bassi Maestro - Intervista

bassi ghemon intervista

 

In occasione della pubblicazione dell'EP Per La Mia Gente / For My People in collaborazione con il produttore statunitense Marco Polo, HIPHOPREC.com intervista Ghemon e Bassi Mestro.

 

1. Bassi e Ghemon siete stati negli States, più precisamente a New York, per ultimare l’EP. Come è stato lavorare nella culla dell’hip hop? Il viaggio ha influenzato questo progetto?

 

Ghemon: Sì il viaggio lo ha sicuramente influenzato. Già il fatto che è una persona che viene da quelle parti abbia fatto le musiche dell’EP è di sicuro una colonna portante del progetto.

In questo disco si dovrebbe comunque respirare un po’ di New York, in effetti gli ultimi due pezzi che abbiamo realizzato in ordine cronologico, “Stronzate e musica” e “Get live” sono figli dell’esperienza americana.
Quindi è stato veramente molto bello, per me era la prima volta, per Bassi no, ed effettivamente ha contribuito ad influire parecchio questo disco.

 

2. Con l’uscita di questo EP è iniziato anche un tour per l’Italia. Come sta andando? Che riscontro avete avuto dalla “vostra gente”?

 

Bassi: Un riscontro ottimo, non che non ce lo aspettassimo, però era la prima volta che un prodotto così esce senza preavviso e noi ci siamo trovati con 15 date prima ancora che la gente avesse ascoltato il disco, quindi c’è stata molta fiducia nel progetto ed è una cosa che veramente ci ha sorpreso.

Ciò vuol dire che la gente era curiosa di sentire il disco e capiamo sicuramente data per data che la gente lo sta ascoltando e apprezzando; infatti vediamo che i ragazzi sanno già le strofe a memoria ed è un fatto che succede solitamente dopo un anno che uscito il lavoro, non dopo solo due settimane.

Tutti i risultati, il tour, le posizioni in classifica, l’attenzione mediatica che stiamo ricevendo sono una bella sorpresa, sono una conferma che probabilmente facciamo musica fatta bene.

 

3. In “Rap vero” Bassi affermi: ”Mi sono innamorato da piccolo dell'hip-hop perché era solo musica libera sempre contro tendenza, adesso fa tendenza fare hip-hop e vedo la mia musica che muore nell'indifferenza”, una frase che sottolinea bene la situazione odierna di questa cultura in Italia. Cosa ti senti di dire alle nuove generazioni che si sono affacciate da poco all’hip hop e soprattutto al rap?

 

Bassi: Mi sento di dire che innanzitutto è una condizione che viviamo molto in Italia ma che è universale. L’hip hop soffre di questa cosa ovunque, perché chi poteva trasmettere determinati valori non l’ha fatto, o ha preso la cosa sottogamba o non aveva la possibilità di arrivare alla massa.

Le nuove generazione credo che debbano sapere solamente che se gli interessa l’hip hop dovrebbero andare a fondo nella questione e questo non vale solo per l’hip hop, vale con tutte le forme d’arte che interessano.

Se uno capisce che la sua strada è per esempio suonare la tastiera o fare un quadro ovviamente va alle loro origini e va a capire da dove arrivano questi interessi; lo stesso dovrebbe avvenire con l’hip hop. Bisogna cercare di capire che questa cultura ha una storia alle spalle di 30 anni, ha un’appartenenza culturale, sociale molto più grande di quanto adesso si fa trasparire dai video o dalle produzioni musicali e che c’è veramente molto di più.

Può forse sembrare una cosa piccola, la moda del momento o la musica figa da ascoltare a scuola, ma c’è invece un mondo a 360 gradi di esperienze, contaminazioni, artisti e storia che veramente può essere interessante per chiunque a tutti i livelli.

Quindi se vi interessa tutto questo procuratevi informazioni, soprattutto adesso che è così facile farlo, e se avete bisogno di consigli noi siamo qua.

 

4. Ghemon (in Nonostante tutto): “non volevo fare quello colto, nel rap è tirarsi un colpo, è facile farsi o mollare il colpo, senza protezioni nudo ci ho messo il mio volto”. Sei sempre stato un po’ fuori dagli schemi – pochi come te riescono a usare citazioni, incastri e tecnica. Non volevi fare il colto, ma la cultura non è forse la tua forza migliore? “Knowledge is power”?

 

Ghemon: Sì “knowledge is power”, ma non quella fine a se stessa. Mi rendo conto che a volte ci sono delle citazioni anche poetiche, letterarie, etc. ma mi son sempre venute spontanee, non ho mai pensato “metto qui dentro un bel termine che non capisce nessuno così li mando tutti a cercarlo sul vocabolario”, non l’ho mai fatto per mettere una parola bella ma perché era funzionale a quello che volevo dire.

In realtà la conoscenza mi interessa per tanti altri motivi, per sapere le cose, non mi piace l’”arrangiarsi” o l’improvvisare sempre, secondo me bisogna sempre andare a fondo, come io amo fare.

Per il resto le barre si spiegano da se. Di esempi per cercare di farsi notare dentro questa faccenda ce ne sono tanti, a parte la questione di fari dei riferimenti un po’ più alti io non ho mai messo nessun filtro, sono sempre venuto com’ero, anche i riferimenti “colti” sono figli di come sono io, non hai messo nessuna maschera ed è questo che voleva dire la rima.

Poi se sono diverso dagli altri è giusto che anche loro lo dicano, io lo dico sempre che mi sento diverso dagli altri, sia che vada ad una festa in discoteca, sia che vada ad una jam, in realtà non mi sento mai collocabile, io sono easy solo a casa mia quando guardo la televisione sul mio divano.

 

 

5. Potete dirci il titolo di una canzone che vi ha fatto dire: “Cazzo, amo l’hip-hop”?

 

Ghemon: Il primo pezzo è stato “Flava in ya ear” di Craig Mack con cui ho iniziato a capire di più questa musica, seguito sicuramente da “Ain’t no nigga” o “Can’t knock the hustle” di Jay-z che mi hanno fatto dire “che figata, che cosa assurda!”

 

Bassi: Ve ne dico uno che è esemplare: è “Paid in full” di Eric B. & Rakim. E’ tra i primi dischi che ho comprato e l’hip hop per me era ancora una cosa difficile da immagazzinare in quegli anni.

Il primo disco che mi ha aperto la possibilità di fare musica è stato il primo album dei De La Soul che mi ha veramente cambiato la prospettiva perché io avevo bisogno dall’hip hop qualcosa di più musicale e di più fresco di quello che c’era in quel periodo. Loro hanno rappresentato per me quel tipo di cambiamento, con quel disco di rottura è cambiata la mia visione dell’hip hop e da lì ho iniziato a fare ciò che ancora sto portando avanti.

 

6. Quali canzoni possiamo trovare nel vostro lettore mp3 in questo periodo?

 

Ghemon: Mi capita tante volte che trovo un pezzo che mi fa dire “incredibile, non ci posso credere”, come ultimamente “Money trees” di Kendrick Lamar feat. Jay Rock, che è stata l’ultima volta che ho messo il volume a palla e ho detto “questo tipo di musica lo adoro e lo adorerò sempre”.

 

Bassi: Ultimamente ascolto molto “Shut The Fuck Up pt.2” di Sean Price.

 

7. Quali sono i vostri progetti futuri ? Lavorerete ancora assieme?

 

Bassi: Non sappiamo, ci sono molte prospettive per tutto, sia singolo che soliste, anche Marco ha pronti 3 dischi da far uscire. Non lo so, vediamo come si evolve il tutto perché ovviamente non è una cosa che muore qui, infatti la promozione del disco andrà avanti fino all’inizio/metà dell’anno prossimo, poi abbiamo una serie di video da far uscire.

E’ un po’ presto per parlare di un seguito, sicuramente ci sarà un seguito logico di percorso in quanto tutto ciò ha lasciato un segno.

 

Ghemon: Noi con questo lavoro non ci proponiamo come un gruppo , come possono esserlo Mista, Frank e Shocca. In realtà noi abbiamo deciso di fare questo lavoro assieme e poi ognuno di noi 3 ritornerà ai propri impegni personali.

Voglio pensare a questo progetto come ad una bella cosa a cui poter ritornare per il piacere di farla, come questa volta che è stata effettivamente una spinta comune, una voglia di tutti e 3, senza dirci di farne immediatamente un altro. Lo faremo volentieri quando la voglia di tutti ci riporterà qua ed io ne sarei felicissimo.

 

8. Qualcosa per cui vorreste essere americani.

 

Bassi: Non invidio tanto la cultura americana, tantomeno il lifestyle che hanno, però devo dire la verità: ho una grande invidia di chi vive a New York. E’ una città in cui mi sono sempre sentito a casa inspiegabilmente, nonostante gli struggle che ognuno dovrebbe affrontare per vivere lì, in quanto viverci non è così bello come andarci due settimane in vacanza, ma io mi ci trovo. Quindi invidio il fatto di non esserci così vicino per poterci andare più spesso.

Ah, ovviamente sarebbe bello essere americani anche per essere più vicini a nostro fratello Marco Polo !

 

Ghemon: Potrei rispondere uguale a Bassi, aggiungendo soltanto che l’unico fatto per cui vorrei essere americano è l’avere un inglese corretto e fluente per poter scrivere e far rap in inglese

 

 

Author: Lorenzo