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  • Categoria: Eyes On The Game
  • Scritto da Gabriele

Sean Paul pizzica il mainstream: ''Prendono la dancehall senza creditare''. Ha ragione?

SeanPaul

Non è sicuramente un segreto: il 2016 della musica mainstream è stato l'anno del ritorno dei suoni Dancehall nelle radio. Seppure fosse un trend ampiamente anticipato dalla geniale mente di Diplo e dei Major Lazer, fin da inizio anno, con l'uscita di "Anti" di Rihanna e il suo singolone "Work" (la cui base è molto, molto ispirata al riddim giamaicano "Sail Away Riddim" del 1998), si è capito che le jamaican vibes sarebbero state pronte a tornare prepotentemente nel panorama occidentale. Ecco quindi l'arrivo di Justin Bieber con la sua "Sorry" e soprattutto di Drake, che con "Controlla", "One Dance" e "Too Good" ha fatto capire senza mezzi termini quanto siano la Dancehall e i ritmi caraibici in generale, le sue influenze principali.

Una tendenza che ci ha un po' portato indietro negli anni, specialmente ai primi del 2000, quando per fare un singolo forte da mandare in radio avevi due opzioni: inventarti il pezzo della vita o molto più semplicemente chiamare Sean Paul e avere una hit in cassaforte. Beyoncè può confermare solo.

Proprio Sean Paul rimane ancora oggi il più grande ambasciatore della dancehall nel mondo. Dopo anni di hit mondiali e album di successo, la sua carriera ha avuto un brusco calo intorno al 2009. La scalata della scuola europea della EDM spostò completamente l'epicentro geografico del suono mainstream e nonostante qualche tentativo di adattamento, il cantante giamaicano fece fatica a restare al centro della scena. Se fino al suo ultimo disco "Full Frequency" del 2014, Sean Paul ha continuato a volare basso negli Stati Uniti vendendo solo 5000 copie, le cose non sono mai cambiate nelle terre caraibiche dove l'artista rimane ancora una leggenda vivente agli occhi di tutti.

Tuttavia il revival Dancehall dell'ultimo anno non poteva che tradursi in un gran ritorno di fiamma delle masse per l'inimitabile voce di Sean Paul, che infatti, dopo aver fatto l'apprezzabile scelta di continuare la sua carriera da artista indipendente, è stato immediatamente richiesto dal mondo del pop, da Sia in particolare, per confezionare la hit che ha così ufficializzato il suo ritorno sul grande stereo.

Oggi Sean Paul è al lavoro per il suo attesissimo nuovo album, in cui l'artista promette di "colmare il gap che c'è nel sound mondiale, tra quello che si pensa sia dancehall e quello che è Dancehall qui in Giamaica". Sposato e con un figlio in arrivo, l'oggi quarantatreenne artista intervistato da The Guardian, ha parlato del ritorno del sound da lui tanto amato nelle radio occidentali:

"La Dancehall è tornata, ma questa volta è influenzata dall'Afrobeat, dall'Hip Hop, dalla Trap e questo mi piace molto. Però allo stesso tempo credo sia brutto che artisti come Drake (il quale comunque il cantante ammette di apprezzare seppure non lo consideri il miglior rapper ndr.) o Justin Bieber, vengano, facciano Dancehall, ma non diano il giusto credito al nostro genere, senza creditare le sue radici e alle volte senza neanche comprenderlo fino in fondo. Questa è una cosa che dalle mie parti non piace molto. Conosco molti artisti a cui non piacciono i Major Lazer perchè pensano di loro la stessa cosa di Drake o Kanye: prendono ma non creditano abbastanza".

Parole che non è nuovo sentire provenire dalla bocca di un artista giamaicano negli ultimi decenni, visto che la cultura musicale caraibica vive quasi da sempre questo dibattito riguardo all'appropriazione di alcuni suoi elementi tipici da parte del mondo occidentale. Tra gli esempi più recenti vi è il twerking e la patetica pseudo-svolta reggae di Snoop Dogg/Snoop Lion.

Ha ragione Sean Paul? Probabilmente non esiste una risposta secca a questa domanda. Di certo il suo e quello di tutti gli artisti giamaicani che la pensano così è un punto di vista comprensibile. Va ricordato che maggior parte degli artisti giamaicani, nonostante siano più o meo famosi nel mondo, sono tutt'altro che ricchi, fatta esclusione per Sean Paul. Questo non è di sicuro un dettaglio inutile nel momento in cui un artista di punta di questo genere, che probabilmente non naviga nell'oro, vede artisti occidentali arricchirsi su un suono che lui cavalca da anni. Trovarsi in questa situazione non deve essere del tutto piacevole e viene difficile pretendere che artisti in questa situazione non si debbano lamentare. 

Oltre a ciò, la critica di Sean Paul è in parte vera. Tanti cantanti hanno fatto uso di elementi tipicamente Dancehall senza dare il giusto credito. Penso a Miley Cyrus e il twerking di cui da un giorno all'altro si è fatta madre illegittima, ma in parte anche a Drake che visto il massiccio uso di elementi linguistici, suoni e vibes, tipicamente caraibici, sarebbe stato corretto se almeno avesse lasciato la strofa di Popcaan in "Controlla" al posto di sostiturla con un semplice campione di Beenie Man, sui quali il 70 per cento del pubblico non andrà mai a indagare. Lo stesso vale per Justin Bieber. Escluderei invece da questa lista Diplo e i Major Lazer che invece da anni danni grande spazio ad artisti sconosciuti, caraibici e non, nei loro album, e che di conseguenza mi sembra del tutto inappropriato criticare in questo caso, specialmente se lo stesso Sean Paul ci ha collaborato in passato.

Piaccia o meno, questo è per definizione il Pop. Un genere che punta a essere per tutti, e che per farlo cerca legittimamente di mischiare gli elementi più "cool" di tutte le sottoculture artistiche del mondo, che dal loro canto hanno tutto il diritto di esigere di essere creditate a dovere. In primis con i featuring, il miglior metodo per dare spazio e fare conoscere un altro artista.

Sean Paul ha vissuto sulla sua pelle l'essere sulla cresta dell'onda e il passare di moda, e vuole che gli artisti della sua terra abbiano l'esposizione che si meritano per il contributo culturale che danno al mondo del Pop, in modo che questi abbiano l'opportunità di essere qualcosa di più di un trend del momento.

 

 

Gabriele
Author: Gabriele
"This is my canvas, I’ma paint it how i want it baby” (J. Cole).