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Intervista a The Man in Red, tra old e new school

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Paolo Guglielmini, è un produttore italiano trasferitosi a Londra negli anni 90. Durante la sua permanenza in Italia lavorò per Aelle e fu in contatto con tutto il movimento old school Italiano. Da qualche anno a questa parte ha creato un canale YouTube chiamato "The Man in Red" che mette al centro il mondo della musica nera con un occhio di riguardo all'hip hop. Ci abbiamo fatto due chicchiere per sapere cosa ne pensa del rap nel 2017, del grime e per fare anche un back in the days.

Chi è The Man In Red e come nasce l’esigenza di creare un canale YouTube?

The Man In Red è un pazzo furioso e l’esigenza nasce spontaneamente, attraverso l’idea di alcuni amici. Io nella vita reale sono come sono anche sul canale, per cui se mi chiedi qualcosa parlo per ore e dei miei amici mi proposero di registrare queste risposte. Uno dei primi episodi, “Hip Hop senza tante storie”, è nato da questo. Ho il vizio di andare in profondità nelle cose, o almeno mi sembra di andare più in profondità rispetto al grosso dei video che ci sono del tubo. Mi piace andare nel dettaglio. 

Da dove nasce la passione per la musica ? i tuoi genitori suonano?

La passione per la musica nasce come la sessualità, si è sviluppata in modo spontaneo. Fin da piccolo mi sono interessato a tutti i suoni che andavano verso l’armonia e da lì mi sono interessato prima alla musica in se e poi al supporto, che per me era il vinile quando ero piccolo. Già alla fine degli anni ’70 al posto del Ciao, mi feci regalare i giradischi. Non mi interessava la tv ma solo il suono e quindi ho passato i primi anni attaccato alla radio.

Mentre la passione per la musica nera? 

Uguale, negli anni 70 c’era quella, il rock e il pop, quello che adesso è collezionismo prima era la moda. Nel 78-79 sentivi funk, disco, pop e rock, era tutta musica che si sentiva in giro.

Andando più nel dettaglio, l’avvicinamento al Rap e alla cultura Hip Hop?

Facendo il dj nei locali, nelle discoteche del pomeriggio a Genova. Nel 79 arrivò "the Breaks" di Kurtis Blow e prima ancora "Rapper's Delight". Alla fine degli anni 70 il rap suonava come qualcosa di rivoluzionario, sentire qualcuno che parla su un disco ma non parla semplicemente perchè ha tutto un suo stile e il groove è funky e tutto è arrangiato perfettamente. Fu uno shock. Nel 81-82 arrivò "The adventure of grandmaster flash on the wheels of steel", e lì capì che c’era qualcosa dietro ed era una cosa misteriosa. Fui travolto emotivamente e comprai tutti i dischi che trovai. 

Il rap ha ancora la stessa portata rivoluzionaria, che ha avuto per te? 

Ce l’ha ancora perchè non si capirebbe come mai così tanta gente ne è stata affascinata e lo ha sperimentato. Anche nel 2017, perchè girando per i locali vedo i ragazzi che hanno la stessa voglia di rappare, c’è tanto sfruttamento commerciale ma c’è ancora tanta voglia di usare questo strumento. Si decisamente certa gente lo vede ancora come un mezzo rivoluzionario. 

Tu segui la scena italiana?

Poco, conosco i veterani, ultimamente faccio molta fatica a seguire le cose che escono però su quel poco che ho sentito, non posso dare un’opinione perchè il materiale audizionato è ancora troppo poco per dire qualcosa di intelligente. Seguo molto più che succede qui.

Dal momento che mi dici che segui di più ciò che accade nel Regno Unito, cosa ne pensi dell’esplosione del grime? in Italia, gente come Skepta e Stormzy sono qualcosa di nuovo per il grande pubblico...

È già esploso e imploso. 4 anni fa era enorme, adesso ci sono locali che lo suonano ma 5 anni fa mi ricordo che c’erano i ragazzini che salivano sugli autobus col ghettoblaster e lo pompavano un sacco. Skepta e Stormzy sono mainstream, gli artisti grime veri facevano party indipendenti nei quali si scambiavano promo e dischi autoprodotti. Io mi ricordo di questa grime. Skepta e tutto questo genere, sono cose che ho suonato nelle serate commerciali, non lo definirei grime, parliamo di un’influenza sulla musica pop. Se andassimo nel primo locale mainstream stasera, lo suonerebbero di sicuro. Stormzy è quasi pop, è un misto tra le due cose ma se andiamo in un contesto più underground non lo suonano. Quando andavo a comprare dubstep qualche anno fa, c’era un reparto dedicato al grime ed erano tutte promo. Quella che c’è ora è la fase successiva, il matrimonio tra qualcosa che c’è già, il pop e questa grossa influenza che è il grime.

Per come la percepisco il tuo rapporto con il mainstream è negativo...

No, io sono un dj commerciale, mi piacciono Rihanna, Beyonce, Lady Gaga, tutte queste cantanti le ho viste dal vivo e sono tutte brave. L’unica cosa che si può dire, è chi ti piace di più o di meno. Quello che non mi piace, è l’appropriazione di termini musicali che nulla hanno a che vedere con i genere originali, è come se ti chiedessi “Che genere ascolti?” e tu mi rispondessi “Pop, mi piacciono i De la Soul”. La predominanza di certa musica e la ridefinizione dei generi solo per attrarre ascolti, non puoi riempirti la bocca con termini impropri a cuor leggero. Nel momento in cui parli di Hip Hop sei responsabile di ciò che dici, e se ne parli in maniera impropria crei dei danni, è lo stesso motivo per cui la gente crede ancora che Jovanotti sia un grande artista rap del passato. Se c’è un sapere storico che si è accumulato negli anni, devi tenerne conto.

Secondo te per fare musica bisogna conoscere ciò che è successo in passato? Se volessi fare rap nel 2017, dovrei conoscere ciò che è già stato fatto? In riferimento anche alla recente polemica tra Lil’ Yachti e Anderson Paak...

Per farla bene, a livello competitivo per forza. Se sei così genio da riuscire ad inventare qualcosa di nuovo, complimenti ma lì la cosa parla da se. La maggior parte delle persone, copiano a caso e cambiano bandiera nel momento in cui cambia il genere, il che non è necessariamente un male ma se cambi genere e cambi bandiera, cerca almeno di andare in profondità. Dalla mia posizione integralista, io penso che devi avere una buona infarinatura su tutto, non devi solo sapere chi sia Tupac, ma devi sapere chi è Ray Charles, chi è Jelly Roll Morton, chi è Ornette Coleman, devi aver ascoltato un po’ di questa musica, perché ti influenza su tutto. Non vorrei però, dicendo questo, tarpare le ali a chi fa belle cose senza avere una grande conoscenza, esiste chi come me preferisce l’enciclopedismo ma perchè poi mi aiuta nel mio lavoro di produttore.

Ti piace la trap? 

Quella americana sì, quella Italiana, per il poco che ho ascoltato, no. I nomi grossi, di cui si parla sempre non mi convincono. Della trap mi piacciono le sonorità melodrammatiche e mi piace che riprenda la criminalità da un punto di vista poetico e la visione della vita metropolitana.

Facendo un back in the days nel tuo passato, avendo tu vissuto il rap nei 90, perchè si è arrivati ad un punto di rottura? 

Non sono mai riuscito a dare una risposta a questo, quando ero in Italia e andavo ai party mi sembrava che non sarebbe mai finito. 8 Mile fu come un momento di rottura, il party era un momento di condivisione in cui si scambiavano idee e conoscenze, quel film è la narrazione dell’individuo che riesce ad ottenere il successo come un guerriero solitario e tutto ciò è contrario rispetto allo spirito di condivisione a cui ero abituato. Molte cose stavano cambiando, scrivevo per Aelle e anche lì mi sembrava che l’entusiasmo stesse cambiando. Io stesso suonavo nei locali, la musica stava cambiando nel 97-98, ero passato dal fare feste in cui suonavo solo hip-hop col tutto esaurito, a situazioni in cui la gente chiedeva sempre più musica commerciale. Col senno di poi ho ricollegato tutti i pezzi.

L’esperienza di Aelle, com’è nata? Ti ha lasciato qualcosa di importante? 

Certo, ho imparato i primi elementi di scrittura e a gestirmi con un editore. Sid era ligure e io ero di Genova, per cui attraverso dei contatti in comune ci incontrammo e mi chiese di scrivere qualcosa e così feci. Ho bei ricordi con Claudio e con la Paola, loro con me sono sempre stati pazienti, poi lavorativamente parlando sono stati sempre professionali.

So che stai scrivendo un libro..

Non sto scrivendo un libro ma un’epopea (ride, ndr), è una mia visione della musica chiaramente molto incentrata sull’hip hop. Il primo volume parte da inizio secolo fino a 82-83, parla della musica afroamericana e parla di tutti i costituenti del primo funky, hip hop rap, del pre old school, con un esame di musicisti e spartiti. Parte dai presentatori radiofonici degli anni 50, che facevano advertising con frasi di rappato e partirò da lì. Poi c’è tutta una parte che riguarda la devastazione del bronx, che non può prescindere dal contesto storico del fallimento della città di New York negli anni 70. 

Ringraziamo Man In Red per questa bellissima chiacchierata. Per vedere tutti i suoi video, cliccate qui.

 

 

Marco Bianchessi
Author: Marco Bianchessi
"Born sinner the opposite of a winner "(Biggie).