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  • Categoria: Eyes On The Game
  • Scritto da Klaus Bundy

Lo star system hip-hop reagisce alla vittoria di Donald Trump

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Forte di un voto popolare che ha saputo andare oltre le promesse troppo scontate dell’ala democratica, Donald Trump ha vinto le elezioni e, il prossimo gennaio, sarà ufficialmente investito della carica di 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, succedendo quindi allo storico Governo – durato otto anni -presieduto da Barack Obama, primo nero nella storia ad insediarsi alla Casa Bianca.

A prima vista, potrebbe dirsi che il popolo americano, dopo aver fatto molti passi in avanti con Obama, siano tornati indietro di decenni, mandando a Washington un individuo dalla morale questionabile, contrario al progressismo (di cui l’America avrebbe disperatamente bisogno) e senza alcuna esperienza politica alle spalle, inquadrandolo quindi come un personaggio che promette di far più male che bene nei quattro anni di mandato concessigli.

Le proteste che, in queste ore, stanno facendo brulicare di persone le principali piazze – non solo d’America, ma del mondo – lasciano intendere quali siano le premesse con le quali Trump dovrà fare i conti a partire dall’anno prossimo: un’avversione ideologica alla sua idea di politica, che non ha soltanto incontrato resistenze presso la comunità internazionale, ma anche presso la potente casta dello star system a stelle e strisce, la quale – di solito – tende ad indirizzare l’elettorato verso il candidato più “presentabile”.

Così, come alle elezioni del 2004 - quelle che diedero a George W. Bush il suo secondo mandato, rese celebri dal controverso conteggio dei voti in Florida, che sapevano parecchio di brogli -, quest’anno la maggior parte delle celebrità USA ha scelto di dare il suo appoggio a Hillary Clinton, anche se – è giusto appuntarlo – il supporto non è arrivato in blocco, con alcuni nomi eccellenti che hanno preferito difendere le ragioni del magnate del Queens, affascinati dalla sua grinta e, molto probabilmente, incuriositi dal suo essere un eccellente “outsider” del settore.

Le previsioni non sono rosee; tuttavia, ad onor di verità, sarebbe fuori luogo dichiarare che la vittoria della Clinton sarebbe stata il trionfo della buona politica, per una serie di ragioni sulle quali, a ben vedere, i media non si sono soffermati con la dovuta cautela: se da una parte, infatti, l’ex first lady avrebbe cercato di “europeizzare” il paese, introducendo misure innovative in campo di aborto e diffusione delle armi da fuoco, è altrettanto vero che la moglie di Bill Clinton avrebbe molto verosimilmente assunto una condotta particolarmente aggressiva in materia di politica estera, già promotrice della guerra in Iraq nel 2003 e fermamente convinta del ruolo centrale degli Stati Uniti nel programma di “esportazione della democrazia”, sulle cui basi morali si dovrebbe scrivere un articolo a parte.

Trump, dal canto suo, ha sempre dichiarato il suo disinteresse nel condurre un’invasione ideologica verso gli stati ad Est del mondo, preferendo mantenere buoni i rapporti con l’estero (ed, in primis, con la Russia di Vladimir Putin, che infatti ha accolto con entusiasmo la sua vittoria) e concentrarsi sui problemi interni della sua nazione, i quali, tuttavia, difficilmente saranno risolti nelle modalità in cui vorrebbe il biondo uomo d’affari newyorkese: revisionare l’Obamacare (la riforma sanitaria fortemente voluta da Obama) ed inaugurare una stagione di privatizzazioni per mantenere la promessa di abbassare la pressione fiscale non permetterà ai cittadini americani di trovarsi più soldi sul conto corrente a fine mese, nuovamente stritolati dai costi proibitivi dei servizi di prima necessità e in balìa di una violenza che promette di tornare a dilagare per le strade come ai tempi di Reagan, in quanto Trump – da buon conservatore – sostiene la teoria che il crimine si sconfigga con altro crimine, motivo per cui non dovremo più scandalizzarci di vedere le immagini che ritraggono bambini di nove anni al poligono di tiro, incoraggiati dai genitori a tenere in spalla una pesante carabina.

Già durante la campagna elettorale, gli afroamericani si erano mossi con prudente sospetto, troppo abituati alle promesse prive di contenuto per credere ai sorrisi ingenui della Clinton o ai baci dispensati sul palco da Trump ad una graziosa bambina di colore.

La comunità nera, per quanto scettica nei confronti dei potere effettivamente esercitato dal popolo in sede di elezioni, aveva mostrato una buona apertura nei confronti del democratico Bernie Sanders, senatore del Vermont e particolarmente attento alla causa dei diritti civili, sconfitto alle primarie proprio dalla Clinton. 

I sondaggi, oggi, ci dicono che un’eventuale corsa di Sanders per il partito democratico avrebbe sortito una vittoria schiacciante su Trump, ma tant’è: ormai è troppo tardi per fare costruttive recriminazioni. 

L’universo hip-hop, mai estraneo (giustamente) alle vicende politiche e sociali americane, ha risposto in maniera eterogenea alla nomina di Trump, anche se i maggiori esponenti hanno mostrato repulsione per i risultati delle votazioni, tra chi ha deciso semplicemente di salutare con un insulto il suo prossimo Presidente e chi ha cercato di mostrare qualche punta di sommessa diplomazia. 

Ehi, cosa indosserete per l’asta degli schiavi di domani?”, si chiede, ironico, The Game, mentre Chuck D dei Plubic Enemy non fa sconti, dichiarando: “Hitler Is Real #meinTrump”.

Parole dai toni apocalittici per Talib Kweli: “Mi ero sbagliato. Pensavo che l’America non potesse deludermi più di quanto non avesse già fatto. Ma mi sono sbagliato. RIP America”. Parole alle quali fa eco la consorte di Paopoose, Remy Ma: “Sono disgustata… […] Sono molto delusa dal fatto che la gente pensi che questo sia un gioco, postando in rete scherzi e meme; tutto ciò è reale.” 

Più mistico, invece, Diddy: “Non importa chi sia il presidente. Gesù è il Re”.

La butta più sul ridere (ma non si sa effettivamente quanto) Snoop Dogg, che chiede ospitalità a Drake postando una foto di Toronto e scrivendo come didascalia: “La mia nuova casa. Drake, ho bisogno di trovarmi una proprietà, me ne vado da qui”. 

Fuori dal coro, invece, la mai scontata Azealia Banks, la quale, tramite il suo profilo Instagram, stende un lungo elogio per Donald Trump, concluso dalle parole: “E’ un mondo freddo per me, che sono una supporter di Trump!”.

Altri ancora, come David Banner, hanno reagito con lucidità, esortando il popolo di colore  a continuare la propria battaglia: “Non impazzite. Andate a dormire, svegliatevi e continuare ad essere neri in America”.

Siamo soltanto all’inizio, ma una cosa è chiara: tutto ciò che farà Trump in qualità di Presidente degli Stati Uniti, sarà analizzato con particolare attenzione. Dalla comunità hip-hop e dal mondo intero.

 

Klaus Bundy
Author: Klaus Bundy
"I came to overcome before I'm gone, by showing and proving and letting knowledge be born" (Eric B. & Rakim).